di Diana Pugliese www.rinascita.info
Strategia politica o coscienziosa risposta alle difficoltà degli italiani? È questa la domanda che sorge spontanea dove aver preso atto della proposta giunta ieri a sorpresa dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, sulla necessità di prevedere un reddito minimo di cittadinanza. “È arrivato il momento di riaprire un dibattito serio sugli strumenti di contrasto all’esclusione sociale e alla povertà. Le differenze sono aumentate enormemente. Forse - ha concluso il Professore in occasione della conferenza stampa di presentazione della nuova Commissione nazionale contro l’esclusione sociale da lui voluta con determinazione - è anche il caso di riaprire una riflessione seria sul reddito minimo di cittadinanza”.
Per Prodi, insomma, l’emergenza povertà in Italia è tale da non poter più essere ignorata. Il governo, ha tenuto a sottolineare l’ex presidente della Commissione europea, ha infatti già iniziato ad occuparsene destinando la maggior parte delle risorse per la spesa sociale ai più poveri. Tale scelta, criticata spesso e da diverse parti, secondo Prodi è stata resa necessaria dall’involuzione della situazione sociale nel Paese, con la crescita del già rilevante numero di famiglie - milioni - che si trovano sotto la soglia di povertà e al limite. Un problema cui si aggiunge l’enorme e crescente sperequazione sociale ed economica creatasi negli ultimi anni.
La Commissione nazionale di indagine appena istituita, la terza nella storia, secondo Prodi dovrà portare avanti l’impegno in questa direzione, elaborando nuove proposte concrete senza essere “solo accademica”. Agli studiosi il capo dell’esecutivo ha infatti chiesto di “produrre analisi provocatorie” e “proposte di intervento”, rilanciando la riflessione sul reddito minimo di cittadinanza, strumento che a suo giudizio un Paese civile non può non prevedere.
L’idea, di per sé condivisibile, non può però non far sorgere qualche dubbio, soprattutto per la tempistica scelta dal presidente del Consiglio e, ancor di più, per l’uso politico che dello strumento si può fare a danno di chi italiano lo è sempre stato e non lo è diventato grazie alle maglie larghe volute dal centrosinistra. In concreto, il reddito minimo di cittadinanza è infatti un’erogazione monetaria, ad intervalli di tempo regolari, ad esempio ogni mese, distribuita dallo Stato a coloro che, dotati di cittadinanza e residenza da un lasso di tempo stabilito, ad esempio un anno, non sono in grado vivere dignitosamente. Ma il sussidio, cumulabile con altri redditi da lavoro, da impresa o da rendita, è indipendente (e non potrebbe non essere così) sia dall’attività lavorativa condotta sia dalla nazionalità, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale, e può essere distribuito in età lavorativa per tutto il periodo che va dalla fine delle scuole dell’obbligo fino all’età pensionabile o alla morte del soggetto.
Da un punto di vista giuridico, quindi, lo strumento sostituisce tutte le altre forme di indennizzo legate alla perdita del posto di lavoro, come la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, i prepensionamenti, ecc., ma non le altre forme di reddito già esistenti come pensioni o crediti alle famiglie.
L’obiettivo perseguito, è importante sottolinearlo, è quello di fornire una disponibilità monetaria da spendere sul mercato, in una logica che rientra nel meccanismo consumistico delle economie occidentali, garantendo al contempo il pieno godimento dei diritti di cittadinanza economica e sociale anche a chi non è inserito nel meccanismo di produzione materiale e immateriale.
Ciò che rende meno chiare le intenzioni del Professore, come dicevamo, sono però le tempistiche: l’emergenza povertà è da tempo un problema concreto in Italia e i vari governi hanno cercato piuttosto di sminuirne la portata. Proprio ieri, ad esempio, l’Istat ha presentato l’annuario 2007, diffondendo le anteprime sui dati in esso contenuti. Parlando del livello di soddisfazione della condizione economica e sociale delle famiglie, l’Istat ha rilevato che quasi il 50% degli italiani non è soddisfatto della propria condizione economica.
Tale percentuale, nonostante sia abbastanza preoccupante, è stata presentata da alcune agenzie notoriamente filo-governative, con la logica del bicchiere mezzo pieno, evidenziando cioè che oltre il 50% degli italiani è soddisfatto del proprio status. D’altronde per elevare in modo efficace e indiretto il tenore di vita dei cittadini basterebbe garantire una migliore distribuzione del carico fiscale, un potere di acquisto stabile (controllando l’inflazione e adeguando le retribuzioni), agevolazioni sulla casa e sui servizi primari come scuola e sanità e un crescente livello occupazionale, unito a retribuzioni adeguate. Di questo, però, si parla meno, preferendo proporre sussidi.
Il dubbio, insomma, è che la proposta sia figlia più del decreto sulla sicurezza che della volontà di aiutare gli italiani, con il rischio che, come già accade con il diritto di accesso agli asili nido, l’erogazione finisca per essere garantita solo agli stranieri. Nel decreto si recepisce infatti la direttiva comunitaria che prevede che il cittadino comunitario che non ha un reddito lecito sufficiente possa essere rimpatriato e questa misura, condivisa dall’opinione pubblica, appare difficilmente modificabile anche per Prodi&Co. Con il reddito minimo di cittadinanza, invece, anche gli stranieri provenienti dai Paesi membri più poveri come la Romania, che magari sono riusciti ad ottenere la residenza e la cittadinanza (che come è noto il centrosinistra vuole agevolare) con un lavoro a tempo determinato, potranno in seguito mettersi a carico dei contribuenti italiani, accumulando il sussidio ai redditi di altra natura.
Inoltre, visto che oltre 70% delle famiglie italiane ha già una casa, il reddito degli stranieri ai fini dell’acquisizione del diritto sarà di certo inferiore a quello della maggior parte degli italiani poveri che, pertanto, non solo non otterranno il diritto ma pagheranno le tasse per finanziare il costoso sostentamento di chi ha ottenuto il diritto, peraltro in una situazione di grave difficoltà dei conti pubblici.
A pensar male si fa peccato ma…
Per Prodi, insomma, l’emergenza povertà in Italia è tale da non poter più essere ignorata. Il governo, ha tenuto a sottolineare l’ex presidente della Commissione europea, ha infatti già iniziato ad occuparsene destinando la maggior parte delle risorse per la spesa sociale ai più poveri. Tale scelta, criticata spesso e da diverse parti, secondo Prodi è stata resa necessaria dall’involuzione della situazione sociale nel Paese, con la crescita del già rilevante numero di famiglie - milioni - che si trovano sotto la soglia di povertà e al limite. Un problema cui si aggiunge l’enorme e crescente sperequazione sociale ed economica creatasi negli ultimi anni.
La Commissione nazionale di indagine appena istituita, la terza nella storia, secondo Prodi dovrà portare avanti l’impegno in questa direzione, elaborando nuove proposte concrete senza essere “solo accademica”. Agli studiosi il capo dell’esecutivo ha infatti chiesto di “produrre analisi provocatorie” e “proposte di intervento”, rilanciando la riflessione sul reddito minimo di cittadinanza, strumento che a suo giudizio un Paese civile non può non prevedere.
L’idea, di per sé condivisibile, non può però non far sorgere qualche dubbio, soprattutto per la tempistica scelta dal presidente del Consiglio e, ancor di più, per l’uso politico che dello strumento si può fare a danno di chi italiano lo è sempre stato e non lo è diventato grazie alle maglie larghe volute dal centrosinistra. In concreto, il reddito minimo di cittadinanza è infatti un’erogazione monetaria, ad intervalli di tempo regolari, ad esempio ogni mese, distribuita dallo Stato a coloro che, dotati di cittadinanza e residenza da un lasso di tempo stabilito, ad esempio un anno, non sono in grado vivere dignitosamente. Ma il sussidio, cumulabile con altri redditi da lavoro, da impresa o da rendita, è indipendente (e non potrebbe non essere così) sia dall’attività lavorativa condotta sia dalla nazionalità, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale, e può essere distribuito in età lavorativa per tutto il periodo che va dalla fine delle scuole dell’obbligo fino all’età pensionabile o alla morte del soggetto.
Da un punto di vista giuridico, quindi, lo strumento sostituisce tutte le altre forme di indennizzo legate alla perdita del posto di lavoro, come la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, i prepensionamenti, ecc., ma non le altre forme di reddito già esistenti come pensioni o crediti alle famiglie.
L’obiettivo perseguito, è importante sottolinearlo, è quello di fornire una disponibilità monetaria da spendere sul mercato, in una logica che rientra nel meccanismo consumistico delle economie occidentali, garantendo al contempo il pieno godimento dei diritti di cittadinanza economica e sociale anche a chi non è inserito nel meccanismo di produzione materiale e immateriale.
Ciò che rende meno chiare le intenzioni del Professore, come dicevamo, sono però le tempistiche: l’emergenza povertà è da tempo un problema concreto in Italia e i vari governi hanno cercato piuttosto di sminuirne la portata. Proprio ieri, ad esempio, l’Istat ha presentato l’annuario 2007, diffondendo le anteprime sui dati in esso contenuti. Parlando del livello di soddisfazione della condizione economica e sociale delle famiglie, l’Istat ha rilevato che quasi il 50% degli italiani non è soddisfatto della propria condizione economica.
Tale percentuale, nonostante sia abbastanza preoccupante, è stata presentata da alcune agenzie notoriamente filo-governative, con la logica del bicchiere mezzo pieno, evidenziando cioè che oltre il 50% degli italiani è soddisfatto del proprio status. D’altronde per elevare in modo efficace e indiretto il tenore di vita dei cittadini basterebbe garantire una migliore distribuzione del carico fiscale, un potere di acquisto stabile (controllando l’inflazione e adeguando le retribuzioni), agevolazioni sulla casa e sui servizi primari come scuola e sanità e un crescente livello occupazionale, unito a retribuzioni adeguate. Di questo, però, si parla meno, preferendo proporre sussidi.
Il dubbio, insomma, è che la proposta sia figlia più del decreto sulla sicurezza che della volontà di aiutare gli italiani, con il rischio che, come già accade con il diritto di accesso agli asili nido, l’erogazione finisca per essere garantita solo agli stranieri. Nel decreto si recepisce infatti la direttiva comunitaria che prevede che il cittadino comunitario che non ha un reddito lecito sufficiente possa essere rimpatriato e questa misura, condivisa dall’opinione pubblica, appare difficilmente modificabile anche per Prodi&Co. Con il reddito minimo di cittadinanza, invece, anche gli stranieri provenienti dai Paesi membri più poveri come la Romania, che magari sono riusciti ad ottenere la residenza e la cittadinanza (che come è noto il centrosinistra vuole agevolare) con un lavoro a tempo determinato, potranno in seguito mettersi a carico dei contribuenti italiani, accumulando il sussidio ai redditi di altra natura.
Inoltre, visto che oltre 70% delle famiglie italiane ha già una casa, il reddito degli stranieri ai fini dell’acquisizione del diritto sarà di certo inferiore a quello della maggior parte degli italiani poveri che, pertanto, non solo non otterranno il diritto ma pagheranno le tasse per finanziare il costoso sostentamento di chi ha ottenuto il diritto, peraltro in una situazione di grave difficoltà dei conti pubblici.
A pensar male si fa peccato ma…
Nessun commento:
Posta un commento