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"Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario"
George Orwell
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sabato 6 settembre 2008

Stare con Putin?


Dalla prefazione di "Stare con Putin?" di Maurizio Blondet, ed. Effefieffe

Venti anni fa un avvenimento sensazionale scosse il mondo con il nome di perestroijka.
L’annuncio solenne di una «Nuova Era» di distensione e pace per tutti.
Lo fece Mikhail Gorbaciov, un uomo spigliato e sorridente, un conversatore.
Un segretario del Partito Comunista Russo dal comportamento anomalo, estraneo alla tradizione diplomatica sovietica fino ad allora conosciuta.
La sua curiosa popolarità conquistò il pianeta in brevissimo tempo.
Con il fascino del contrasto egli accese di entusiasmo enormi masse popolari, ad Est come ad Ovest, per mobilitarle verso una nuova creatività economica e politica nel nome di un ennesimo «Futuro».

Riuscì a proporre un ambizioso quanto distante obiettivo per il popolo dell’URSS: inventare il mercato in un Paese che non sapeva assolutamente cosa fosse, e dare un insospettabile compito programmatico al Partito più temuto del mondo: sciogliersi.
Ma mentre in Occidente i governi e le masse popolari, con gratificante stupore celebravano soddisfatti la novità, in Unione Sovietica si consumavano già le prime delusioni a seguito del «Grande Inganno».
Lo slancio legato alla speranza di un rinnovamento effettivo, la gioia e la fede in un ipotetico rilancio produttivo gonfiavano l’«Impegno per la Sfida», finché il pallone non scoppiò nella «Grande Delusione».
E la grande delusione, accompagnata da un «Crollo Mirato» dell’autostima nazionale, si rivelò come la più straordinaria risorsa per l’autodistruzione.
Perestroijka, glasnost e democrazia furono, alla fine dei conti, un pretesto inserito a tradimento nel desiderio reale di liberarsi da anni di oppressione ottusa e che portarono il suo frutto con calcolata puntualità.

Tutto il popolo sovietico cadde nell’enorme tranello: liberarsi dall’oppressione, uguale liberarsi da se stessi.
Milioni di famiglie in preda ad un «Sogno Immenso» fecero il tonfo nella realtà nemica.
Così l’URSS sparì dalla carta geografica.
Perché «Crollo Mirato»?
Perché sarebbe sbagliato, ingenuo e scorretto parlare esclusivamente di autodistruzione dell’Unione Sovietica.
La causa del suo crollo non fu dovuta solo a fattori interni.
Oggi ancora più di ieri si svelano con impressionante logicità i motivi di tanto industrioso e maniacale interesse, nell’«area ex sovietica», di organizzazioni occidentali tese all’insegnamento della «democrazia», con l’onnipresente sostegno finanziario ad iniziative sociali molto particolari,
nonché ad una rappresentazione all’estero di una Russia sempre lugubre e insistentemente misteriosa, pericolosa, inaccettabile.

Una pubblicità intenzionalmente negativa che dall’epoca della Perestroijka non conosce sosta.
«Operazioni Ausiliarie» decisive per il «Compimento dell’Opera» sono sempre state minuziosamente descritte e riferite pubblicamente dal bell’«Inizio».
Non solo Zbignew Brzezinsky o George Soros, ma molti altri personaggi più o meno noti, appartenenti all’instancabile fronte delle «Organizzazioni Non Governative», dei «Fondi Internazionali per Democrazia e il Libero Mercato», per l’«Ecologia», per i «Diritti Umani», per la «Libertà Religiosa», per il «Pluralismo», che pullulavano fino a poco tempo fa negli spazi ex sovietici, non hanno mai fatto mistero delle loro operazioni sovversive in quei territori.
E tuttavia nessun autore, prima di Maurizio Blondet, aveva mai descritto con tale cosciente precisione il ruolo di queste organizzazioni nello sviluppo dei grandi eventi geopolitici di questi ultimi anni.
Ai fervidi Paladini dell’«occidentalizzazione» ad oltranza della Russia e di tutti gli ex Stati sovietici, ideologi pagati per sopprimere gli interessi nazionali e quelli di Stato con farraginosi progetti economici e «democratici» sono state recentemente spuntate le unghie.

Il governo russo ha voluto veder più chiaro quanto i bilanci corrispondessero agli scopi statutari.
Questi «Curiosi Filantropi», infatti, legati ad artificiose idee di «Cambiamento Permanente», volontari della democratizzazione forzata, artefici di caos e disordine telecomandato, tra l’altro, si sono dimostrati in Russia e in tutti i Paesi dell’area ex sovietica efficaci catalizzatori dei disastri economico-sociali prodotti dai cambiamenti di regime legati alle «Rivoluzioni colorate» pagate dalla «Catena Oligarchica Trasversale Internazionale».
Tutte le tecnologie sovversive di importazione dall’Occidente hanno sempre mirato ad un indebolimento degli Enti Amministrativi per privatizzare con più efficacia le appetitose risorse energetiche locali.
Chiunque, con un occhio un po’ allenato, ne poteva notare il «Marchio di fabbrica».

Le manifestazioni di «protesta» in Ucraina, in Kirghisia, in Georgia e così via, che tanta eco interessata ebbero nei telegiornali occidentali, furono marchiate come tutto il resto.
Un «tocco» e uno stile estranei a qualunque mentalità locale di quei territori non si poteva non vedere nell’«oggettistica» e nell’«ideologia» movimentista (distintivi, coccarde, cappellini, sciarpe, bandiere).
Gli eventi di «Rottura» (destituzione dei governi in carica) puntualmente ripetuti, come da copione, fanno pensare all’esistenza di una «Centrale Comune» che «stampa» la «Storia» e, in forma programmata, «riscalda» o «raffredda» le emozioni politiche nelle aree strategiche del mondo.
Con impareggiabile candore, inoltre, provvede all’assistenza tecnica nelle operazioni pre elettorali e fornisce «consulenze» ai partiti scelti, esegue il «monitoraggio» pedissequo sulla libertà di stampa e di espressione, distribuisce borse di studio con temi tendenziosi atti a ricevere informazioni sulla popolazione e sul territorio sempre utili in un «Futuro di Ipotetica Occupazione».
Crea «opinione pubblica», «partiti», «movimenti», «democrazie», «dittature» e tutto ciò che, al momento, più conviene per mantenere le condizioni omeostatiche di ladrocinio generalizzato a Est ed a Ovest.

In Russia, oggi, questo «modello di democrazia» che camuffa e arraffa sta massicciamente deludendo la popolazione, perde fan.
E’ la reazione logica in risposta agli anni novanta, quando il Paese si trovava in preda al caos ed alla insicurezza del domani.
Vladimir Putin ne ha fatto tesoro con una risposta politica rigorosa.
I «frutti» detestati della civilizzazione «occidentalizzatrice», che in Russia ha falciato la vita di milioni di persone, stravolgendone i bilanci familiari e dello Stato, non potevano che generare in lui la volontà di assegnare al suo governo un’immagine legata più alla difesa degli interessi della
«Nazione Proprietaria» anziché a quella di ossequio al «libero arbitrio» dei famosi «Oligarchi».

La straordinaria e varia quantità di notizie ed informazioni contenute in questo libro di Maurizio Blondet è accompagnata, come sempre nei suoi testi, da un filo logico dipanato con magistrale esplicazione delle connessioni geopolitiche più nascoste sul perché, oggi, il presidente russo Vladimir Putin stia diventando sempre più una nuova e paradigmatica figura internazionale di riferimento, nonostante gli attacchi disperati della stampa «mondiale» e «libera» contro di lui.
II sapiente utilizzo, da parte del presidente russo, della dipendenza energetica dei Paesi «sviluppati» come argomento del dialogo politico-economico non è solo una «Novità Strategica».
E’ anche un’occasione tematica estremamente attuale, che può restituire modernità e concretezza alle politiche nazionali e internazionali.
Forse, con l’aiuto della Russia, si potrà tornare all’«Uomo» e alle sue esigenze primarie.
Quelle che in Occidente, calpestate e fraintese dal consumismo, si fa fatica a ricordare.
Così, superate le difficoltà della situazione evolutiva post sovietica, la Russia ritrova oggi una leadership indipendente e sovrana, capace di valorizzare in modo obiettivo le sue risorse nazionali, umane, tecnologiche e naturali.

Putin è, prima di tutto, colui che ha reso giustizia al dolore di milioni di russi ingannati da se stessi ma indotti a credere nella Perestroijka come nella «Salvezza», gettandosi con incoscienza nella perfida avventura del mercato liberista, soffocati dai debiti e dal blocco industriale.
Colui che ha compreso meglio di tutti la rabbia impotente di fronte ai risvolti economici e sociali prodotti dal cataclisma della scomparsa dell’URSS e ha saputo dare un senso politico al desiderio di tornare alla normalità, senza umiliazioni, pur con tutte le difficoltà della vita quotidiana.
Putin ha pagato tutti i debiti e ha restituito dignità alla valuta nazionale rendendo il rublo convertibile.
Putin è il presidente che, finalmente, ha restituito una «positività» alla nazione e sa perfettamente che per vincere non è solo importante come si è, ma soprattutto come ci si sente.
Con ciò ha fatto capire a tutti che nel mondo la vita continua, nel segno del «chi la fa, l’aspetti». Sotto a chi tocca.
Per questo l’opposizione a Putin è, «gloriosamente», internazionale.

Essa vede in testa gli zelanti custodi dei governi occidentali e dei loro «consulenti non governativi» che, appesantiti da una rigidità mentale rimasta ai luoghi comuni della Guerra Fredda, sono sempre più schiavi del «Sogno Senza Senso» sulla «esportazione della democrazia».
Un disco rotto, pagato dal «Contribuente», che porta solo instabilità, guerre, povertà, flussi migratori anomali.
Paradossalmente assistiamo oggi a una inspiegabile e «Storica Ammucchiata del Miracolo Democratico» dove «destre» e «sinistre», «liberali» e «conservatori», finalmente uniti si affannano in un isterico belato contro Putin il guastafeste, il rompiuova nel paniere bucato dei suoi ingenui persecutori.
Politici privi del senso dello Stato e feriti dall’enorme invidia per colui che, a differenza di loro, ha raggiunto in patria un consenso popolare indiscutibile.

Il «Consumatore di Informazione», oggi, si trova al centro di una guerra psicologica raffinata in uno scenario poliedrico.
Uno spazio in cui ogni informazione è calibrata in modo da dare sempre una visione distorta degli interessi nazionali perché importante è, sempre e comunque, che la «Discussione Democratica» sia vana ma che porti tanti soldi.
Tramite la radio, la televisione, i giornali.
Siamo arrivati così, tutti, nell’«Era Nuova», postsovietica, tanto annunciata, agognata, pagata.
Nell’«Era» dove, giocoforza, esiste il dominio dell’«ideologia»! di mercato e degli interessi
dell’«Oligarchia Trasversale».
Dove privata non è tanto la proprietà quanto la legge del più «forte».
E più è forte, più fa la guerra, crea la fame e le disgrazie locali e globali con ì soldi del «Contribuente Civilizzato», «Democratizzato».
Il contribuente occidentale non ci pensa, ma è lui che finanzia le «Grandi Missioni», gli «Aiuti Internazionali», i «Piani di Ricostruzione», oltre alla sua stessa personale «Quotidiana Disinformazione».
Quella che lo distanzia sempre più dal «capire» perché tanto «Ipotetico Bene» ci spinge ogni giorno sempre più nelle sabbie mobili dell’autodistruzione dell’identità nazionale, cioè di noi medesimi a Est come ad Ovest, a Sud come a Nord.
Il lancio diversificato per tempi e stili di «informazione» in aree del mondo differenti per geografia e cultura sta alla base della tecnica della reazione calcolata degli «informati».
Il risultato è un aggravarsi dell’offuscamento intellettuale su tutti i fronti.
Si chiama la «Civiltà dell’Informazione».

Il prodotto è l’incomunicabilità tra tutti quelli, nei popoli dell’«Est» e dell’ «Ovest», a cui «non tornano i conti» ma non possono fare altro che sospettare, dubitare o... lasciar perdere.
In un clima del genere questo libro di Maurizio Blondet è un dono di chiarezza, uno strumento assolutamente insostituibile per tutti coloro che, assorbiti dallo scandalismo eclatante, desiderano invece rendersi indipendenti dalla sistematica disinformazione quotidiana su uno dei temi più
delicati e affascinanti di oggi e soprattutto di domani: il ruolo della Russia nel mondo.

Questo libro di Maurizio Blondet è uno strumento altrettanto indispensabile per chiunque voglia spendere le sue passioni politiche in modo più interessante e soprattutto meno ingenuo.
Il lettore occidentale, bersagliato dall’apparenza di una Russia «spaventosa», con un presidente spia, dittatore senza pari, sospettato mandante di omicidi plurimi dalla stampa internazionale delle «Oligarchie Trasversali», furbo oppressore della libertà del prossimo, chiunque esso sia, accusato di abuso illimitato di potere e quanto di peggio e truculento si possa immaginare nel nome di un eloquente «Passato», troverà qui, finalmente, una immagine «alternativa» di grande aiuto per uscire dal chiasso monocorde.
Il lettore potrà alla fine facilmente capire che la Russia di Putin non è una minaccia per i popoli della terra, ma una occasione unica per riposizionare i propri interessi in forma più razionale e conveniente.

L’azione di Vladimir Putin può, ovviamente, rappresentare un’ispirazione interessante per altri governi di nazioni ricche di «Risorse Reali» più che di cartamoneta o teorie necrofile e suicide sulla «democrazia».
Altrettanto per l’Europa si configura uno spunto obbligato nella ricerca della sua latitante identità, riscaldata, chissà, dalla Russia se per essa tutto ciò avrà un senso.

V.V. Konechnikh (economista)

Tratto da «Stare con Putin?» (EFFEDIEFFE edizioni, 2007)

giovedì 4 settembre 2008

Perche' ho dovuto riconoscere le regioni separatiste della Georgia


Martedì, la Russia ha riconosciuto l'indipendenza dei territori della Ossezia del sud e dell'Abkhazia. Non è stata una decisione presa a cuor leggero, o senza la piena considerazione delle possibili conseguenze. Ma tutti i possibili esiti della mia decisione han dovuto essere pesati contro una sobria conoscenza della situazione - le storie degli Osseti e
degli Abkhazi, il loro desiderio di indipendenza liberamente espresso, i tragici eventi delle scorse settimane e i precedenti internazionali a simile iniziativa.

Non tutte le nazioni del mondo hanno il proprio stato. Molte esistono felicemente entro confini condivisi con altre nazioni. La federazione Russa è un esempio di vasta ed armoniosa coesistenza di molte dozzine di nazioni e nazionalità. Ma certe nazioni trovano impossibile vivere sotto la tutela di qualcun'altro. Le relazioni tra nazioni che vivono "sotto lo stesso tetto" necessitano di essere maneggiate con estrema sensibilità.

Dopo il collasso del comunismo, la Russia si è riconciliata con se stessa dopo la "perdita" di 14 ex repubbliche sovietice, che diventarono stati avendone i dirittti, nonostante qualcosa come 25 milioni di russi fossero stati lasciati con i piedi in paesi non più loro. Alcune di queste nazioni funrono incapaci di trattare le proprie minoranze con il dovuto rispetto. La Georgia spogliò le sue "regioni autonome", Ossezia del sud ed Abkhazia, della loro autonomia.

Potete immaginare cosa poteva essere per gli Abkhazi veder chiusa la propria università, a Sukhumi, da parte del governo di Tbilisi, sulla base che loro, a quanto si dice, non avevano una propria lingua o storia o cultura e perciò non
necessitavano di una università? L'appena indipendente Georgia inflisse una brutale guerra contro le sue nazioni di minoranza, spiazzando migliaia di persone e gettando i semi del malcontento che potevano solo crescere. Questi erano focolai, accesi alle porte della Russia, che i pacificatori russi hanno cercato di tenere spenti.

Ma l'occidente, ignorando la delicatezza della situazione, ha inconsapevolmente (o consapevolmente) alimentato le speranze di libertà dei sud-osseti e degli abkhaziani. Hanno stretto al proprio capezzale un presidente Georgiano, Mikheil Saakashvili, la cui prima mossa fu di schiacciare un'altra autonomia, quella della regione dell'Adjaria, senza nascondere i suoi intenti di schiacciare gli osseti e gli Abkhaziani.

Nel frattempo, ignorando gli avvertimenti russi, le nazioni occidentali si sono affrettate a riconoscere la dichiarazione ILLEGALE di indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Abbiamo vivacemente sostenuto che sarebbe stato impossibile, dopo tale avvenimento, dire ad Abkhazi e Osseti (e dozzine di altri gruppi nel mondo) che ciò che era cosa buona per gli albanesi del Kosovo non avrebbe potuto esserlo per loro.

Vedendo i segni premonitori, abbiamo insistentemente tentato di persuadere i georgiani a firmare un accordo sul non-utilizzo della forza con gli osseti e gli abkhazi. Il sig. Saakashvili SI E' RIFIUTATO.

La notte del 7-8 agosto abbiamo capito il perchè!

Solo un pazzo schizofenico avrebbe potuto commettere un simile azzardo. Credeva che la Russia sarebbe rimasta ad oziare sugli allori mentre lanciava un assalto a tutta potenza sulla dormiente città di Tshvinkali, uccidendo centinaia di civili pacifici, molti dei quali cittadini russi? Credeva davvero che la Russia sarebbe restata ferma mentre le sue forze "di pace" (ndt: quelle Georgiane) sparavano sui loro compagni russi, e sottolineo compagni, coi quali dovevano, almeno si suppone, evitare l'insorgere di problemi in Ossezia del sud?

La Russia non ha avuto altra opzione se non quella di irrompere nell'attacco per salvare le vite. Questa guerra non è stata una nostra scelta. Non abbiamo progetti o mire sul territorio Georgiano. Le nostre truppe sono entrate in Georgia per distruggere le basi dalle quali è partito l'attacco, e poi se ne sono andate. Abbiamo riportato la pace ma non potevamo, a questo punto, calmare le paure e le aspirazioni dei popoli sud-osseti ed abkhazi - non quando il sig. Saakashvili ha continuato (con la complicità degli USA e di alcuni membri della NATO) a parlare di riarmarsi e reclamando "il territorio georgiano". I presidenti delle due repubbliche si sono appellati alla Russia per riconoscere la loro indipendenza.

Una decisione pesante poggiava sulle mie spalle. Tenendo in conto le liberamente espresse opinioni dei popoli osseti ed abkhazi, e in base ai principi della carta delle nazioni unite ed altri documenti di legge internazionale, ho firmato un decreto in cui la Federzione Russa riconosce l'indipendenza dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia.

Spero sinceramente che il popolo eorgiano, per il quale proviamo storica amicizia e simpatia, possa un giorno avere i capi che si merita, che si prendano cura del proprio Paese e che sviluppino rispettose e mutue relazioni con tutti i popoli del Caucaso. La Russia è pronta a supportare il conseguimento di tale obiettivo.

Lo scrivente è il presidente della Federazione Russa, Dmitry Medvedev

tradotto da effedieffe.com

Intervista del primo ministro Putin sul Caucaso


Nell’intervista sul primo canale della televisione tedesca ARD il primo ministro russo V. V. Putin ha espresso le sue valutazioni sulla questione dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia e sulle loro conseguenze internazionali. Una delle prime domande del corrispondente signor Tim Roth ha riguardato il pericolo di isolamento internazionale di Mosca attribuito a vari politici occidentali.

D.
Egregio signor primo ministro, dopo l’escalation della situazione in Georgia nell’opinione pubblica occidentale, cioe’ non solo a livello dei circoli politici, ma anche della stampa, la gente ha l’idea che voi con la violenza abbiate creato una situazione per la quale la Russia è contro il mondo intero.

R. Lei cosa pensa? Chi ha iniziato la guerra?

D. L’ultimo dei motivi e’ stata l’aggressione della Georgia a Tskhinvali.

R. Grazie per la sua risposta. Questo e’ vero. E’ stato proprio cosi’. E di questo parleremo ancora piu’ tardi. Voglio semplicemente rilevare che non siamo stati noi a creare questa situazione.
E ora per quanto riguarda la questione dell’autorita’ della Russia. Io sono convinto che l’autorita’ di qualunque Paese, capace di proteggere la vita e la dignita’ dei suoi cittadini, di un Paese, capace di avere una politica estera indipendente, nel lungo e nel medio termine avra’ un’autorita che potra’ solo crescere. Al contrario, l’autorita’ di quei Paesi, che hanno assunto come regola quella di servire gli interessi esteri di altri Stati, senza tener conto dei propri interessi nazionali, indipendentemente da ogni loro giustificazione, calera’ nel tempo.

D. E pero’ lei non ha risposta alla domanda: perche’ voi siete andati incontro al rischio di isolare il vostro Paese?

R. Mi pareva di aver risposto. Ma se ha bisogno di ulteriori spiegazioni, gliele darò. Io ritengo che un Paese, in questo caso la Russia, che può difendere l’onore e la dignità dei suoi cittadini, proteggere le loro vite, ottemperare ai propri obblighi giuridici internazionali nell’ambito di un mandato internazionale, un Paese cosi’ non sarà isolato, checchè ne dicano, con una mentalita’ da “blocco”, i nostri partner in Europa o negli Stati Uniti. Il mondo non finisce in Europa e negli Stati Uniti. Anzi, voglio affermare ancora una volta che se ci sono Stati che possono trascurare gli interessi nazionali propri servendo quelli esteri di altri, l’autorità di simili Stati, per quali sforzi non facciano per giustificarsi, la loro autorità nel mondo calerà di continuo. In questo senso se gli Stati europei vogliono servire gli interessi internazionali degli Stati Uniti, secondo me, non ci guadagneranno niente. Adesso prendiamo i nostri obblighi giuridici internazionali. Come da accordi internazionali, i contingenti di pace russi hanno acconsentito all’obbligo di difendere la popolazione civile dell’Ossezia del Sud. E ora ricordiamoci del 1985. La Bosnia. Come sappiamo bene, il contingente di pace europeo, rappresentato da soldati olandesi, non ha ritenuto di reagire contro uno degli aggressori rendendo possibile in questo modo la rasatura al suolo di una intero Paese. Ci sono stati dei morti e hanno sofferto centinaia di persone. Il problema e la tragedia di Serebreniza sono ben noti. Lei per caso voleva che noi facessimo la stessa cosa? Che ce ne andassimo lasciando il campo all’esercito giorgiano perchè ammazzasse gli abitanti di Tskhinvali?

D. I suoi critici dicono che lo scopo della Russia in realtà non fosse la difesa della popolazione civile di Tskhinvali, ma il tentativo di rovesciare il presidente Saakashvili, contribuire ad una ulteriore destabilizzazione della Georgia e in questo modo ostacolare la sua entrata nella NATO. E’ così?

R. No, non e’ così. Questa e’ semplicemente una alterazione dei fatti. E’ una bugia. Se questo fosse stato il nostro scopo, evidentemente avremmo iniziato noi il conflitto. Invece, come ha detto anche lei, il conflitto l’ha iniziato la parte georgiana. Ora voglio ricordare alcuni fatti di storia recente. Dopo la decisione illegale del riconoscimento del Kosovo, tutti hanno atteso che la Russia riconoscesse l’indipendenza e la sovranità dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. E' vero, fu così, tutti hanno atteso questa decisione da parte della Russia. Noi ne avremmo avuto il diritto morale, ma noi non l’abbiamo fatto. Noi ci siamo comportati in modo più che contenuto, cosa che non vorrei nemmeno commentare, in effetti abbiamo “ingoiato” la questione. E cosa abbiamo ottenuto? Un escalation del conflitto, l’aggressione dei nostri soldati di pace, l’aggressione e l’uccisione della popolazione civile nell’Ossezia del Sud. Lei conosce i fatti, come sono avvenuti, cosa di cui si è già parlato. Il ministro degli Esteri della Francia è stato nell’Ossezia del Nord, e si è incontrato con i profughi. I testimoni oculari hanno raccontato che parti dell’esercito georgiano con i carri armati sono andati contro donne e bambini, hanno spinto la popolazione nelle case e poi gli hanno dato fuoco con la gente viva dentro. E i soldati georgiani quando sono entrati a Tskhinvali, tra l’altro, passando vicino alle case, vicino agli scantinati dove si nascondevano donne e bambini, ci buttavano dentro le granate. Che cos’e tutto questo se non genocidio? Ora, per ciò che riguarda il governo della Georgia. gente, che ha portato alla catastrofe il proprio Paese – e con le proprie azioni il governo della Georgia ha fatto saltare la propria integrità territoriale e statale, - certo che gente del genere, secondo me, non può governare Stati ne piccoli, ne grandi. Se queste fossero persone per bene, si sarebbero immediatamente dovute dimettere.

D. Questa non è la sua decisione, ma la decisione georgiana.

R. Certo. Ma noi conosciamo anche precedenti di altro tipo. Ricordiamoci come i soldati americani sono entrati in Iraq e come si sono comportati con Saddam Hussein per il fatto che lui avesse annientato alcuni Paesi sciiti. E qui nelle prime ore della battaglia sono stati eliminate dalla faccia della terra dieci paesini ossetini nell’Ossezia del Sud.

D. Signor primo ministro, lei crede in virtù di ciò che sia vostro diritto invadere il territorio di un Paese sovrano, cioè non rimanere nella zona del conflitto, ma bombardarlo? Io stesso oggi siedo accanto a lei grazie per un caso perchè in un quartiere abitativo di Gori, a 100 metri da me, sono scoppiati degli ordigni, una bomba lanciata da un vostro aereo. Non è questa una violazione del diritto internazionale, cioè proprio del fatto che voi di fatto occupate un piccolo Paese? Da dove vi viene questo diritto?

R. Certamente che noi abbiamo diritto…

D. Preciso ancora una volta, che la bomba è stata gettata su una abitazione civile.

R. Certmente, noi abbiamo agito in base al diritto internazinale. Le aggressioni alle nostre postazioni del contingente di pace, l’uccisione dei nostri soldati e dei nostri cittadini, tutto ciò senza ombra di dubbio, l’abbiamo considerate come una aggressione alla Russia. Nelle prime ore dell’azione bellica con i propri colpi l’esercito georgiano ha ucciso subito alcune decine di soldati del contingente di pace. Hanno circondato la nostra cittadella “del Sud” ( zona sud) (lì c’erano le cittadelle della “zona Sud” e della “zona Nord”), con carri armati e hanno iniziato a sparare con colpi diretti. Quando i nostri soldati hanno fatto il tentativo di tirare fuori l’apparecchiatura dai garage, sono stati sferrati i colpi con sistemi “Grad”. Dieci persone che sono entrate nell’angar sono morte sul posto, arsi vivi. Dopo di che l’aviazione georgiana ha inferto colpi in più luoghi nel territorio dell’Ossezia del Sud, non a Tskhinvali, ma nel bel mezzo dell’Ossezia del Sud. Noi siamo stati costretti a rispondere punto per punto al fuoco, punti che si trovavano nelle zone dei combattimenti e nella zona di sicurezza. Ma questi sono stati i punti dai quali operava l’esercito che ha colpito i soldati russi e i contingenti di pace.

D. Ma io ho già detto che sono state bombardate zone abitative. Forse lei non è in possesso di tutte le informazioni?

R. Io, forse, non ho tutte le informazioni. E’ possible che vi siano stati anche degli errori nel corso delle operazioni militari. Per l’appunto proprio ora in Afganistan l’aviazione americana ha inferto un colpo, si dice ai talebani e con un colpo solo ha fatto fuori quasi cento civili. Questa è la prima delle possibilità. Ma la seconda è piu’ verosimile, e cioè che i punti di comando del fuoco dell’aviazione e delle stazioni radio la parte georgiana li ha dislocati proprio nelle abitazioni civili per ridurre la possibilità che noi usassimo l’aviazione prendendo la popolazione e lei medesimo in ostaggio.

D. Il ministro degli Esteri della Francia, presidente di turno della UE, signor Kuchner ha recentemente manifestato la sua preoccupazione che il prossimo conflitto potrebbe riguardare l’Ucraina, e in particolare la Crimea e Sebastopoli, come anche la base della flotta russa. Rientrano la Crimea e Sebastopoli nei piani della Russia?

R. Lei ha detto, il prossimo scopo. Noi non abbiamo neanche qui scopo alcuno. Per cui penso che dire prossimo scopo non sia corretto. Questo come prima cosa.

D. Lei lo esclude?

R. Se Lei mi permette di risponderLe, sara’ soddisfatto. La Crimea non rappresenta una zona di contestazione. Lì non c’è mai stato un conflitto etnico, a differenza del conflitto tra Ossezia del Sud e Georgia. La Russia ha da tempo riconosciuto gli attuali confine dell’ Ucraina. Noi di fatto riguardo ai confini abbiamo terminato le nostre trattative. Si parla di demarcazione, ma questa è una faccenda tecnica. La domanda su scopi simili per la Russia, ritengo cha abbia carattere provocatorio. Lì, in Crimea, all’interno della società, hanno luogo processi complicati. Ci sono i problemi dei tatari di Crimea, della popolazione ucraina, della popolazione russa e in generale della popolazione slava. Ma questo è un problema interno dell’Ucraina. Noi abbiamo un accordo con l’Ucraina riguardo alla nostra flotta valido fino al 2017 e noi terremo fede a questo accordo.

D. Un altro ministro degli Esteri, questa volta della Gran Bretagna, il signor Millibend ultimamente ha espresso preoccupazione per l’inizio di una nuova “Guerra fredda”, ricomincia la corsa agli armamenti. Come giudica lei la situazione? Siamo noi adesso sulla soglia di un nuova “era glaciale”, di una nuova “Guerra fredda”, di una nuova corsa agli armamenti? Qual’e’ il suo punto di vista?

R. La Russia non promuove nessun inasprimento, o tensione con chicchessia. Noi desideriamo dei rapporti buoni, di buon vicinato e di partnership con tutti. Ma se permette dirò cosa penso di tutto ciò. C’era l’URSS e il Patto di Varsavia. E c’erano le truppe sovietiche in Germania, per la verità, bisogna essere onesti, quelle erano contingenti di occupazione, le truppe che sono rimaste in Germania dopo la seconda Guerra mondiale, con il fregio di truppe alleate. Queste forze di occupazione sono andate via. L’Unione Sovietica si e’ sciolta, il Patto di Varsavia non c’e’ piu’. Minaccie dall’Unione Sovietica non ce ne sono. Ma la NATO, le truppe americane sono rimaste in Europa. Come mai? Per richiamare e fare ordine nel proprio Paese, per richiamare all’ordine i propri alleati, per mantenerli nei limiti della disciplina del blocco ci vuole una minaccia esterna. L’Iran in questo senso non è abbastanza credibile. E si vorrebbe molto resuscitare l’idea del nemico russo. Ma in Europa non ha più paura nessuno.

D. Lunedi si terrà la riunione del Consiglio della UE a Bruxelles. Lì parleranno della Russia, delle sanzioni nei confronti della Russia, perlomeno queste questioni saranno all’ordine del giorno. Come vi ponete in confronto a tutto ciò? Vi è indifferente? Lei pensa comunque che l’Unione Europea parla in molte lingue?

R. Se dicessi che ci sputiamo sopra, che la cosa ci è indifferente, direi una bugia. Ovviamente la cosa non ci è indifferente. Ovviamente seguiremo con attenzione tutto ciò che succederà. Speriamo semplicemente che prenda il sopravvento il buon senso. Speriamo che non verrà data una valutazione politicizzata, ma una valutazione oggettiva di quanto è accaduto in Ossezia del Sud e in Abkhazia. Noi speriamo che l’azione del contingente di pace russo trovi sostegno, mentre le azioni della parte gieorgiana, che ha portato avanti questa azione criminale, venga messa a giudizio.

D. Ecco, in rapporto a questo vorrei chiederle. Come vi apprestate a risolvere il seguente dilemma? Da una parte la Russia è interessata a continuare la sua collaborazione con l’Unione Europea. E non può agire diversamente in virtù dei compiti economici che si è posta. Dall’altra la Russia vuole portare avanti il gioco con sue regole proprie, russe. Cioè da una parte c’è l’attenersi a valori europei e dall’altra quello di comportarsi con regole russe. Ma non è possible soddisfare contemporaneamente le due posizioni.

R. Sappia che noi non abbiamo intenzione di avere regole del gioco nostre. Noi desideriamo che tutti lavorino con regole comuni, che si chiamano diritto internazionale. Ma noi non vogliamo che qualcuno manipoli questi concetti. In una regione del mondo ci saranno regole del gioco di un certo tipo e in un altra, altre. Tanto per soddisfare i nostri interessi. Noi vogliamo che ci siano regole uniche, che soddisfino gli interessi di tutti i membri del dialogo internazionale.

D. In questo modo, lei vorrebbe dire che nelle distinte zone del mondo l’Unione Europea si comporta in modi diversi, che non corrispondono alle regole del gioco internazionale?

R. Eccome! Come hanno riconosciuto il Kosovo? Hanno dimenticato tutto sull’integrita’ dello Stato. Hanno dimenticato la risoluzione 1.244, che loro stessi avevano sanzionato e sostenuto. Liì questo si poteva fare, ma in Abkhazia e in Ossezia del Sud non si può! Perchè?

D. Cioè la Russia è l’unico arbitro del diritto internazionale? Tutti gli altri fanno manipolazioni. Ma non ne sono coscienti. Essi hanno altri interessi e non gli importa. L’ho capita bene?

R. Lei non mi ha capito bene. Voi siete stati d’accordo con l’indipendenza del Kosovo? Si o no?

D. Io personalmente…, io sono un giornalista

R. No, I Paesi occidentali.

D. Si

R. Fondamentalmente tutti l’hanno riconosciuto. Ma se avete riconosciuto lì, riconoscete allora l’indipendenza della Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Non c’è nessuna differenza. Non c’è alcuna differenza in queste due posizioni. E’ una differenza inventata. Lì c’era un conflitto etnico, e qui c’è un conflitto etnico. Lì c’erano azioni violente praticamente da ambo le parti, e anche qui probabilemente si possono trovare. Se si cercano, probailmente si trovano. E’ verosimile. Lì è stata presa la decisione che quei popoli non possono vivere insieme in uno Stato unico, e qui non vogliono vivere insieme in uno Stato unico. Non c’è nessuna differenza, lo capiscono tutti. Sono tutte chiacchiere. Per coprire decisioni illegali. E’ il diritto della forza. Il diritto del pugno forte. E con tutto ciò la Russia non può trovarsi d’accordo. Signor Roth, lei vive in Russia già da molto tempo. Lei parla molto bene il russo, quasi senza accento. Che lei personalmente mi abbia capito, non è una sorpresa. Ma io vorrei che mi capissero anche i nostri, i miei colleghi europei, quelli che si riuniranno il primo e penseranno a questo conflitto. Fu presa la risoluzione 1.244? Lo fu. Lì era scritto e sottolineato: l’integrità territoriale della Serbia. Hanno buttato nell’immondizia quella risoluzione, l’hanno dimenticata. Hanno tentato di svincolarsi. E non era possible svincolarsi L’hanno semplicemente dimenticata. Perchè? Alla Casa Bianca hanno comandato così e tutti hanno ubbidito. Se i Paesi europei continueranno così la propria politica, allora delle questioni europee ci toccherà parlare direttamente con Washington.

D. Vorrei farle una domanda, che riguarda lo sviluppo dei rapporti russo-germanici indipendentemente dalle valutazioni e proposte fatte qui. Ma, considerando i rapporti particolari tra i nostri due Paesi, può la Germania in questa situazione avere un ruolo di mediazione speciale?

R. Noi con la Germania abbiamo rapporti molto buoni, di grande fiducia, nel campo della politica e della sfera economica. Quando abbiamo parlato con il signor Sarkozy durante la sua visita a Mosca, gli abbiamo detto in faccia che noi non abbiamo intenzione di annetterci alcun territorio georgiano e che ovviamente andremo via da quei punti nei quali ci troviamo ora. Ma andremo nella zona di sicurezza, quella designata precedentemente negli accordi internazionali. E nemmeno lì abbiamo intenzione di rimanere in eterno. Noi riteniamo che quello sia territorio georgiano. Il nostro scopo è unicamente quello di provvedere alla sicurezza in quella regione, non permettere che di nuovo si collochino, segretamente, come è stato fatto questa volta, armi, strumenti, per impedire il ripetersi di nuove occasioni di conflitto armato. E dirò che la partecipazione lì di osservatori internazionali, osservatori dell’OSCE, della Comunita’ Europea verranno salutati positivamente. Bisogna solo accordarsi sui principi del lavoro comune.

D. E questo significa che voi comunque porterete via i vostri contingenti militari?

R. Certamente. Per noi la cosa importante è garantire la sicurezza in questa zona. Nella tappa successiva, aiutare l’Ossezia del Sud a salvaguardare i propri confini. E non avremo altri motivi per restare in questa zona di sicurezza. Nel corso di questo lavoro, saluteremo con piacere la collaborazione con le strutture europee e anche con l ‘OSCE.

D. Rispetto alla crisi di rapporti che ora, senza ombra di dubbio, è sorta (rapporti con gli USA e con l’Europa), quale contributo potete dare perchè questa crisi si concluda?

R. Intanto di tutto ciò, ne ho parlato ieri con i suoi colleghi della CNN. Mi pare che sostanzialmente la crisi sia stata provocata anche dai nostri amici americani durante la campagna elettorale, proprio per garantire un vantaggio a uno dei candidati, in questo caso quello del partito reggente.

D. Lei ha dei fatti?

R. Noi sappiamo che li, c’erano molti consiglieri americani. E’ molto male armare una delle parti, tra due che si trovano in conflitto etnico per poi spingerla a risolvere questi problemi etnici con le armi. A prima vista sembrerebbe piu’ semplice che condurre trattative per anni e cercare compromessi, ma è un modo molto pericoloso. Lo sviluppo dei fatti, l’ha dimostrato. Ma gli istruttori, i “maestri”, in senso largo, il personale insegna a lavorare con l’apparecchiatura bellica fornita nei poligoni e nei “centri di istruzione”, e dove si trovava invece? Nelle zone di scontro. E ciò fa pensare al fatto che il governo degli Stati Uniti sapeva dell’azione che si andava per compiere e anzi ha partecipato a tutto ciò, semplicemente perchè senza il comando dei ranghi superiori dei cittadini americani nella zona del conflitto non avevano il diritto di trovarsi. Nella zona di sicurezza si potevano trovare solo cittadini del luogo, si potevano trovare osservatori dell’OSCE e forze del contingente di pace. Ma lì noi abbiamo trovato tracce di cittadini americani, che non rientravano nè nella prima, nè nella seconda e nè nella terza categoria. E qui sorge la questione. Perchè i governanti americani hanno permesso che lì si trovassero dei propri cittadini, che non avevano il diritto di trovarsi in questa zona di sicurezza? E se loro lo hanno permesso allora a me viene il dubbio che tutto questo sia stato fatto appositamente per organizzare una piccolo guerra vittoriosa. E siccome non è riuscita, ora si deve fare della Russia un nemico e su questo terreno di cultura unire l’elettorato attorno a uno dei candidati alla presidenza. Ovviamente intorno al candidato del partito al potere. Ecco le mie riflessioni e le mie supposizioni. Sarà affar suo, essere o non essere d’accordo con quanto detto. Ma tutto ciò ha diritto di esistere, poichè noi abbiamo trovato tracce di cittadini americani nella zona del conflitto.

D. Un’ultima domanda. Non crede lei, che lei personalmente si trovi nella trappola di un regime autoritario? Nel sistema attuale lei riceve l’informazione dai vostri servizi segreti. Lei riceve informazioni da varie fonti, e anche dall’ambiente economico, ma a volte perfino i mezzi di informazione hanno paura di dire qualcosa di diverso, che contraddica ciò che lei vuole sentire. Non puo’ essere succeso che il sistema che lei ha creato, le chiude la possibilita’ di avere una visione piu’ larga, non le dia la possibilità di vedere per davvero ciò che succede oggi in Europa e in altri Paesi?

R. Egregio signor Roth. Lei ha caratterizzato il nostro assetto politico come un sistema autoritario. Lei, nel corso di questa nostra odierna discussione, ha ricordato diverse volte i valori comuni. Dov’è la lista di questi valori? Ci sono dei princìpi fondamentali. Diciamo, il diritto della persona alla vita. Ecco, per esempio in America c’è la pena di morte, da noi in Russia non c’è e in Europa non c’è. Significa questo che voi state per uscire dalla NATO perchè non c’è una perfetta coincidenza dei valori tra europei e americani? Adesso prendiamo questo conflitto, di cui stiamo parlando oggi con lei. Non Le è per caso noto quello che è successo in Georgia negli ultimi anni? La misteriosa morte del primo ministro Khvani. Il boicottaggio contro l’opposizione. La dispersione fisica delle manifestazione dell’opposizione.
La gestione delle elezioni nazionali in una situazione di emergenza. Dopo di che questa azione criminale nell’Ossezia del Sud con molte vittime umane. E questo, naturalmente è un Paese democratico, con cui bisogna avere un dialogo e che bisogna prendere nella NATO, e magari anche nella Comunita’ Europea. Ma se un altro Paese difende i propri interessi, semplicemente il diritto dei cittadini alla vita, cittadini che hanno subito un’aggressione, ci hanno ammazzatto subito 80 persone. 2.000 pacifiche persone come risultato sono state uccise. E noi non possiamo difendere le vite dei nostri cittadini, li’? E se noi difendiamo le nostre vite, ci portano via le salsicce? Che scelta abbiamo noi tra la vita e le salsicce? Noi scegliamo la vita, signor Roth. E ora, per cio’ che concerne un altro valore, la libertà di informazione. lei guardi un po’ come viene data l’informazione su questi fatti, sulla stampa degli Stati Uniti, che viene ritenuta il faro della democrazia. E’ iniziata la fucilazione di massa a Tskhinvali, erano già iniziate le operazioni di terra delle truppe georgiane, già c’erano molte vittime e nessuno ha detto una parola. La sua televisione ha taciuto e tutti canali americani hanno taciuto, come se non fosse successo niente, il silenzio. Ma come l’aggressore le ha beccate sul muso e gli hanno spaccato i denti, come ha abbandonato subito tutte le armi americane ed è fuggito senza neanche girarsi, tutti si sono ricordati del diritto internazionale e della Russia cattiva. Tutti hanno ritrovato la voce. Ed ora a proposito di salsicce e di economia. Noi desideriamo dei normali legami economici con i nostri partner. Noi siamo un partner molto affidabile. Noi non abbiamo mai ingannato nessuno. Quando noi abbiamo costruito il condotto nella Repubblica Federale di Germania all’inizio delgi anni ’60, li’ i nostri partner di oltreoceano hanno consigliato ai tedeschi di non concludere quel progetto. Lei queste cose le deve sapere.
Ma allora il governo della Germania prese la decisione giusta e con l’Unione Sovietica quel sistema fu costruito. Oggi quello è una delle fonti sicure di approvvigionamento di idrocarburi per l’economia tedesca. La Germania ne riceve annualmente 40 miliardi di metri cubi. Idem, l’anno scorso e quest’anno e garantiamo che riceverà tutto ciò. Ma adesso vediamo come stanno le cose più globalmente. Qual’è la struttura del nostro export nei Paesi europei, e anche nell’America del Nord? Per l’80% è merce che appartiene alla categoria della materia prima: petrolio, gas, prodotti chimici della raffinazione del petrolio, legname, metalli vari, concimi chimici. Questo è tutto, tutto ciò di cui ha estremamente bisogno l’economia mondiale ed europea. E’ merce estremamente richiesta sui mercati mondiali. Noi abbiamo possibilità anche nel campo della alta tecnologia, ma per ora esse sono limitate. E oltre a tutto ciò, perfino avendo un accordo con l’Unione Europea, diciamo, nel campo delle forniture del combustibile atomico, non ci danno uguale diritto di presenza in Europa sul mercato dei combustibili. Guarda caso, per la posizione di nostri amici francesi.
Loro lo sanno e noi con loro abbiamo discusso a lungo. Ma se qualcuno vuole distruggere questi legami, noi non possiamo farci niente. Noi questo non lo vogliamo. Noi speriamo vivamente che i nostri partner ottemperino in modo uguale ai loro obblighi come noi abbiamo ottemperato ai nostri e come siamo intenzionati a fare in futuro. Questo, per ciò che riguarda il nostro export. Ma per ciò riguarda il vostro export, cioè il nostro import, in Russia esiste un mercato grande e sicuro. Io adesso non ricordo le cifre, ma le forniture, diciamo, nel settore della metalmeccanica tedesca sul mercato russo crescono da un anno all’altro. E oggi sono molto grandi. Qualcuno vuole smettere di effettuare queste forniture? E noi le compreremo da altre parti. Chi ha bisogno di tutto questo, non capisco? Noi richiamiamo a una analisi obiettiva di quello che è successo. Noi speriamo che vincano il buon senso e la giustizia. Noi siamo vittima di una aggressione. Noi speriamo nel sostegno dei nostri partner europei.

D. La ringrazio cordialmente per questa intervista, signor primo ministro.

R. Grazie molte.

tradotto da effedieffe.com

giovedì 7 agosto 2008

USA: comincia il grande esproprio, fase 2


La crisi dei sub-prime e la recessione in USA ha un effetto paradossale: gli speculatori finanziari che hanno provocato il collasso del sistema si buttano a comprare infrastrutture pubbliche. Aeroporti, autostrade, ponti e acquedotti dei governi locali, Stati e municipi, che sono disperatamente a corto di fondi e sono ben contenti di fare cassa (1).

Ma più contenti sono gli speculatori, attanagliati dalla crisi del credito, e che non vedono più i profitti favolosi di quando inondavano il mondo di prodotti derivati e di altre creazioni dell’ingegneria finanziaria. Prima si sono buttati sulle materie prime, lucrando sui rincari del petrolio e dei grani (da loro stessi provocati). Ora che anche le materie prime calano, dove investire per profitto?

«Quando non sei sicuro di alcun altro investimento, metti i soldi in una strada a pedaggio», dice John Schmidt, della Mayer Brown LLP di Chicago (indovinate a quale piccolo popolo appartiene la ditta): «Gli introiti sono stabili e prevedibili. Non diventi ricco sfondato, ma hai un flusso di cassa continuo».

Così, le infrastrutture pubbliche, costruite col denaro dei contribuenti, diventano private. E gli introiti di tariffe e pedaggi di tali infrastrutture sono privatizzati anch’essi.

Il caso più paradossale è quello di New York. Dove gli introiti fiscali sono diminuiti drasticamente, perchè sono diminuti i profitti della speculazione di Wall Street, primo contribuente della metropoli. Il governatore, David Paterson, ora spera che Wall Street compri quote di infrastrutture, per non aumentare le tasse, ed ha battezzato l’operazione «partecipazioni pubblico-private». Goldman Sachs è molto interessata, ed ha offerto la sua consulenza (a pagamento). Ci sono, spiega Greg Carey, capo della sezione infrastrutture della Goldman, da 75 a 150 miliardi di dollari pronta cassa da investire in «attivi fisici».

Dall’altra parte, 29 Stati degli USA più il District of Columbia (il distretto della capitale Washington) avranno un deficit fiscale di 49 miliardi di dollari nel 2009. E secondo la American Society of Civil Engineers, le infrastrutture americane hanno bisogno di 1,6 trilioni di dollari in 5 anni per la manutenzione ordinaria e straordinaria (sono state parecchio trascurate negli ultimi anni di boom finanziario).

Già la superbanca spagnola Abertis insieme a Cititgroup hanno offerto 12,8 miliardi di dollari per prendere in affitto per 75 anni il «Pennsylvania Turnpike», il sistema di autostrade (855 chilometri) che unisce i maggiori centri della Pennsylvania. Del resto il Chicago Skyway, un ponte stradale a pedaggio, è stato già ceduto nel 2005 dal municipio per 1,8 miliardi, ed ora il sindaco di Chicago si prepara a cedere in affitto il Midway Airport, il principale aeroporto. Già dal 2006 è finito ai privati (in affitto) l’«Indiana Toll Road», arteria a pedaggio dell’Indiana. Morgan Stanley sta dando la sua consulenza ad Akron, città dell’Ohio, per la cessione a privati del suo sistema di riciclaggio delle acque sporche e per la privatizzazione della lotteria di Stato.

«Le lotterie hanno un flusso di cassa stabile e alte barriere all’entrata (ossia: sono monopoli)», si entusiasma Rob Collins della Morgan sezione infrastrutture, «si auto-finanziano e richiedono spese capitali minime».

L’ultima frase è rivelatrice: le lotterie sono meglio delle strade, per i banchieri d’affari, perchè non ci sono spese di manutenzione. Il che significa che i privati, per strade e ponti, lesineranno i «costi» di mantenimento. Più del settore pubblico. Che dire?

E’ un caso di scuola: le «grandi depressioni» vedono sempre grandi trasferimenti di ricchezza reale, pagata dai più, nelle mani di pochi. E sempre gli stessi.

Infatti, il grande esproprio del capitalismo irresponsabile avviene in due fasi:

• Nel ciclo di boom economico, tutti i trucchi della finanza creativa si riducono ad un fatto molto semplice: retribuire il capitale più del lavoro, anzi a spese del lavoro. La finanza speculativa è un gioco a somma zero; infatti se qualcuno guadagna è perchè qualcun altro sta perdendo. Nella fase di boom, i lavoratori ricevono meno salario di quanto meritano per il loro contributo alla crescita. Ciò avviene limando le paghe, riducendo il personale (ogni volta che un’impresa riduce il personale, le sue azioni salgono, premiate dalla speculazione), oppure delocalizzando i lavori nei Paesi a salari infimi. In questa fase, i lavoratori sottopagati si vedono offrire «credito» per i consumi che non si possono permettere, e così - dopo aver ceduto parte del loro salario al capitale in forma di mancati aumenti - ne cedono un’altra quota pagando gli interessi al capitale speculativo, che li incoraggia a indebitarsi. In questa fase inoltre il capitalismo ideologico sputa sul settore pubblico, «poco efficiente», le cui infrastrutture «rendono poco», sicchè «non interessano agli investitori».

• Nella fase della depressione, d’improvviso il capitale speculativo comincia a interessarsi delle infrastrutture. Strade e ponti a pedaggio rendono poco? Sì, ma meglio di niente; e in più garantiscono flussi di cassa costanti. Inoltre, autostrade e ponti sono già lì. Il privato non ha bisogno di investire per costruirli; anzi, sono già ammortizzate da decenni. Nella fase della depressione, le infrastrutture - il patrimonio dei cittadini accumulato nei decenni - sono inoltre in offerta a prezzi stracciati; i politici di governo le offrono perchè hanno bisogno di denaro.

Ovviamente, cedendo in affitto o in proprietà i beni pubblici (a loro affidati), si privano per il futuro dei canoni, pedaggi e tariffe che tali patrimoni pubblici rendono. Ma che volete farci? Dovrebbero aumentare le imposte, ma ciò li renderebbe impopolari; meglio dunque cedere i gioielli dei cittadini.

Questa si chiama «democrazia di massa», ideologia ausiliaria del capitalismo da saccheggio. Gli economisti - ossia i custodi dell’ideologia - sono lì a gridare che «il mercato» sarà più efficiente della mano pubblica, che il privato «ottimizzerà» i costi delle infrastrutture. Non ci dicono come farà, il cosiddetto privato: lesinando ancor più sulla manutenzione. Facendo pagare pedaggi sempre più esosi su autostrade sempre più piene di buche. E’ così semplice, l’efficienza del capitalismo. Tutti gli economisti in cattedra non fanno altro che questo: occultare la questione della distribuzione della ricchezza (2).

Infatti, chi potrebbe scongiurare il doppio saccheggio, il grande trasferimento di ricchezza dai cittadini-contribuenti ai pochi privati? Solo dei governanti integri, che sentano profondamente la missione per cui sono stati votati, conservare ed aumentare il bene pubblico; politici capaci di porre regole al capitale selvaggio in nome del bene comune. Ma decenni di liberismo ideologico hanno appunto «consumato» questo tipo di personalità, le hanno fatte sparire.

Come ha scritto Cornelius Castoriadis, «il capitalismo ha potuto sopravvivere soltanto perchè ha ereditato una serie di tipi antropologici che non ha creato e non avrebbe potuto creare da sè: giudici incorruttibili, funzionari integri di stampo weberiano, educatori che si consacrano alla loro missione, operai dotati di coscienza professionale e così via. Questi tipi non nascono spontaneamente, ma sono stati creati in epoche storiche precedenti, in cui si faceva riferimento a valori non economici, allora consacrati e incontestabili: l’onestà, il servizio allo Stato, la trasmissione del sapere, lo zelo lavorativo. Oggi, nelle nostre società (economiciste-liberiste), questi valori sono divenuti notoriamente risibili, le uniche cose che contano essendo la quantità del denaro che si è intascato non importa come, e il numero di volte che si è apparsi in TV» (3).

Ecco il peggiore dei grandi saccheggi: la dissipazione - in nome del consumismo con pagamento rateale - del patrimonio impalpabile ma decisivo, quello dell’onestà pubblica, della solidarietà civica, del senso di missione per la propria nazione, della responsabilità civica verso le generazioni passate e future. Valori costruiti da altre epoche, organiche e tradizionali: ossia da tutta una civiltà dove il profitto economico non era l’istanza suprema, epoche che il gergo della democrazia cumula e demonizza sotto un unico termine: più o meno, come «fascismo».

I governanti che eleggiamo sono ormai i maggiordomi del capitale, al suo servizio esclusivo. Se almeno i capitalisti pagassero i loro enormi stipendi; no, anche quelli li paghiamo noi.

Perchè non sfuggirà che quel che accade oggi in USA, la cessione di patrimoni pubblici, in Italia è già avvenuto da tempo. Dai tempi dello yacht Britannia, in cui Draghi salì per vendere la roba nostra a lorsignori. Con la benedizione di Ciampi e degli altri Venerati Maestri: e ciò mentre i sindacati più potenti e costosi del pianeta badavano a tenere bassi i salari italiani. Tutta gente che resta al potere per servire loro, ma che continuiamo a pagare noi. E tanto, troppo.


Maurizio Blondet
www.effedieffe.com


NOTE
1) Jonathan Stempel, «Wall Street to privatize US infrastructures», GlobalResearch, 1 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Anti-manuale di Economia», Tropea Editore, 2005, pagina 15. Da cui traggo la seguente citazione, che illustra come il mercato, per esistere, debba creare artificialmente la scarsità e i bisogni: «Si deve capire bene che la scarsità non è assolutamente un dato naturale che si possa misurare per mezzo di indicatori oggettivi (...). La scarsità designa una forma di organizzazione specifica istituita dal ‘mercato’. Essa fa dipendere, in misura sconosciuta alle altre società, l’esistenza di ciascuno dalla sua sola capacità di procurarsene i mezzi senza poter contare sull’aiuto di altri. Qui appare con evidenza il fatto che la «libertà» e l’indipendenza dagli altri, che separa con tanta forza gli esseri umani nella società mercantile, assume la forma della solitudine e dell’eslusione». Michel Aglietta e André Orléan, «La monnaie entre violence et confidence», Parigi 2002.
3) Cornelius Castoriadis, «Gli incroci del labirinto», Firenze, 1998. Citato da Bernard Maris nell’Anti-manuale di economia (vedi sopra).

lunedì 14 luglio 2008

La «moralità» dell’Occidente


Teheran ha lanciato nove missili, fra cui uno Shahab con raggio presunto di 2 mila chilometri - e tutto l’Occidente grida di sdegno: «L’Iran ci minaccia!». La Rice in Bulgaria s’è stracciata le vesti: «Chi vuole parlare agli iraniani, chieda loro la portata dei missili che hanno sparato. Germania, Francia e Italia si sono uniti nella condanna». Il nostro ministro Frattini, parlando da Israele (è sempre lì, avete notato?) ha ripetuto la lezione: «Sono missili molto pericolosi, ecco perchè non solo Israele ma l’intero Occidente ha interesse a bloccare questa escalation in modo definitivo» (1). Con le bombe, insomma.

Come cittadini, dovremmo vergognarci, anzitutto, della nostra cortissima memoria. Non è passato nemmeno un mese da che Sion ha condotto una spettacolare esercitazione aerea sullo spazio greco-mediterraneo - con oltre cento caccia-bombardieri ripetutamente riforniti in volo per mille chilometri - lasciando capire che si sta preparando ad un attacco preventivo contro l’Iran.

Sono solo due settimane che Symour Hersh, il grande giornalista, ha rivelato come le forze armate USA, su ordine presidenziale, stiano conducendo già da un anno operazioni speciali nel territorio iraniano, sia con loro commandos che penetrano dal sud iracheno, sia armando gruppi etnici e sovversivi in Iran; operazioni che comprendono «assassinii mirati» contro personalità militari persiane, e la cattura di membri delle forze di elite della guardia rivoluzionaria iraniana, che vengono poi portati in Iraq per «interrogatorii» (2).

Questi israeliani e americani sono già atti di guerra, preventivi, illegali e non provocati, contro la Persia. Dovremmo ricordarcelo. E questi sì, dovrebbero sdegnarci e allarmarci. Invece ci sdegnamo e ci allarmiamo: l’Iran ci attacca. E’ l’Iran che provoca. Che cosa dovrebbe fare un Paese debole, senza alleati, quotidianamente minacciato dalla super-potenza e dal suo Agnello super-armato?

Ma i gestori della propaganda fidano della nostra ignoranza non meno che dei nostri pregiudizi e della nostra memoria corta. Sanno che possono farci paura raccontandoci che il Shahab-3 iraniano ha 2 mila chilometri di gittata, quanto basta per colpire Israele.

Non ci dicono il resto: che questo Shahab è la copia di un vecchio missile nordcoreano, il Nodong, la cui precisione è derisa da tutti coloro che se ne intendono. E ovviamente, sugli Shahab non c’è una testata nucleare: l’Iran non ne ha, e soprattutto non è in grado, e non lo sarà per molti decenni, di miniaturizzare un’arma atomica per adattarla a un missile. Dunque gli Shahab-3 hanno, al massimo, testate di esplosivi convenzionali. In caso di guerra, la loro efficacia sarà quella degli Scud errabondi di Saddam, nella prima guerra del Golfo. Militarmente zero.

I propagandisti non ci dicono nemmeno la frase pronunciata, dopo il lancio dimostrativo dei missili, da un’alta personalità militare, il generale di brigata Mohammad-Najjar: «La nostra capacità missilistica ha scopi soltanto difensivi, per la salvaguardia della pace in Iran e nel Golfo Persico... I nostri missili non saranno usati per minaccciare nessun Paese, sono solo per coloro che osassero attaccare l’Iran».

Questo si chiama, in buona strategia, «deterrenza». Dal latino «deterreo», dissuado facendo un po’ di paura. Deterrenza è l’atteggiamento non di chi attacca, ma di chi - sotto minaccia - cerca di dissuadere l’attacco altrui. Ma nella nostra moralità occidentale, l’Iran non ha diritto alla deterrenza; Israele ha diritto all’aggressione preventiva. A noi ignoranti senza memoria nemmeno di breve termine, non è chiara l’estrema disparità di forze tra USA-Israele e l’Iran.

Ci fanno credere che l’Iran possa davvero esercitare una qualche rappresaglia contro il volume di fuoco delle portaerei americane già nel Golfo (la USS Lincoln ci è stata spostata in questi giorni), di una potenza che dedica alle spese di armamenti due-trecento volte di più di Teheran.

Un ottimo giornalista conoscitore dell’area, Pepe Escobar, ci fornisce qualche informazione sulla forza militare di Teheran (3). Il generale Muhammad Ali Jafari, che è da settembre 2007 comandante supremo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana (l’esercito), ha intrapreso - come ha spiegato lui stesso una settimana fa al giornale iraniano Jam e-Jam - una radicale riorganizzazione delle forze armate del Paese, con la sostituzione di molti comandanti regionali.

Essa consiste in una fusione fra forze regolari e milizie «rivoluzionarie», specialmente di Pasdaran (il gruppo di elite) e la milizia Bassij, e il radicale decentramento di queste unità. «In pratica, l’Iran ha ora 30 eserciti», scrive Escobar, «uno in ogni provincia, ciascuno con comando unificato per Pasdaran e Bassij, e i due corpi conducono esercitazioni insieme». Esfandiari Safari, che scrive per il giornale Rooz, ha spiegato che la riorganizzazione «è la risposta dell’alto comando delle Guardie della Rivoluzione all’attacco imminente che si attende».

Vi dice niente la natura di questa riorganizzazione? Il senso di un tale decentramento? Esso non ha nulla di offensivo; è l’assetto difensivo di chi si prepara ad una resistenza sulla propria terra, in vista di un’invasione; i comandi sono moltiplicati e resi autonomi in modo che non ci sia un quartier generale da schiacciare, e le unità possano operare senza ordini, vivendo del territorio, fra gli abitanti connazionali; è il tipico assetto della guerriglia partigiana.

Non c’è dubbio che possano combattere ad oltranza. Tanto più che la Guardia della Rivoluzione è stata dichiarata «organizzazione terroristica» dalla Casa Bianca, e dunque i suoi combattenti sanno che, se cadranno in mano al nemico, subiranno il destino degli «enemy combatants», come ad Abu Ghraib e a Guantanamo. «Interrogatori» con tortura, detenzione a vita, soppressioni mirate.

Ma naturalmente non ci sarà alcuna invasione, contro cui quest’armata partigiana possa provare il suo valore. L’attacco verrà dal cielo, dal cielo saranno liquidati; l’assetto guerrigliero ha qui qualcosa di commovente e patetico. E noi ci facciamo spaventare da quel che dice Frattini.

Che vergogna, la nostra. Nemmeno capiamo che questa guerra è contro di noi, sudditi occidentali (4).

Maurizio Blondet
www.effedieffe.com

NOTE
1) «Iran tests missiles, increasing tension with the West», Zaman, 10 luglio 2008.
2) Seymour Hersh, «Preparing the battlefield», New Yorker, 7 luglio 2008.
3) Pepe Escobar, «Iran’s missiles are just for show», Asia Times, 11 luglio 2008.
4) Anche la sanguinosa sparatoria avvenuta in Turchia contro l’ambasciata USA - non un attentato, men che meno suicida, ma un atto di guerriglia - viene più o meno allusivamente presentata come collegata ai missili di Teheran; un portavoce USA (l’ho sentito per radio) ha dichiarato che «non può nè smentire nè confermare» che gli attentatori fossero «di Al Qaeda». Ovviamente gli attentatori sono invece curdi; i quali hanno le loro buone ragioni per sentirsi traditi dagli americani. Questi hanno promesso loro uno Stato curdo ritagliato dall’Iraq, secondo il piano di smembramento del Paese per linee etnico-religiose; ma hanno dovuto acconsentire alla Turchia di violare questo staterello curdo, da cui partivano gli attentati anti-turchi. «Al Qaeda» non c’entra nulla, e men che meno l’Iran. L’Iran sta combattendo i curdi insieme alla Turchia, dalla parte opposta del confine.

giovedì 12 giugno 2008

Perchè tutti ce l’hanno con l’Innocente?


«La Gran Bretagna è diventata un ‘covo’ di estremismo anti-israeliano»: se n’è lamentato l’ambasciatore di Israele a Londra, Ron Prosor. Una volta l’Inghilterra era un campione di democrazia, ha detto. Ora non più.

«Israele vi è assoggettata a una intensa campagna di delegittimazione, demonizzazione e doppiopesismo. La Gran Bretagna è diventata un santuario per iprocriti appelli alla soluzione ‘uno Stato’ (ossia uno Stato con palestinesi ed ebrei), che non è che un eufemismo per il movimento che vuole la distruzione di Israele». Infatti coloro che premono per quella soluzione «negano il diritto all’esistenza di Israele come Stato ebreo-democratico (sic) liberale».

Le università inglesi soprattutto. Che avevano una «reputazione di libertà d’espressione e pluralismo delle idee», ora non più. Ora nelle università infuria «la licenza di molestare, umiliare e discriminare» gli studenti ebrei che vengono da Israele.

Bisogna ammetterlo: tutti ce l’hanno con Israele. Persino il Paese che si fece governare da Disraeli è divenuto antisemita. L’innocenza di Sion non viene più riconosciuta, tutti sono dalla parte dei palestinesi e non riconoscono le minacce che Israele affronta ogni giorno, sola al mondo, disarmata delle sue 300 testate nucleari, contro nemici potentissimi come Hamas. Finirà che Al Qaeda dovrà fare un altro attentato a Londra, per dare una lezione a questo covo di odio antisemita.

Anche l’ONU è diventata un covo di antisemitismo. Più precisamente; il Consiglio per i Diritti Umani, colpevole - ha denunciato Condoleezza Rice - di «aver accusato Israele di atrocità contro il popolo palestinese». La Rice ha annunciato perciò che gli USA si ritirano da tale organo. Il quale è nuovissimo: è nato nel 2006, dopo che gli USA avevano voluto liquidare il precedente Human Rights Council proprio perchè criticava Israele ed era poco atteno ai diritti umani di altri.

Ma anche il nuovo organo dell’ONU si è dimostrato «ripetutamente ingiusto contro Israele», secondo Israele. Il precedente inviato dell’ONU, il sudafricano John Dougard, dopo aver constatato sul campo il trattamento che l’Innocente fa subire ai palestinesi, ha denunciato «uno Stato di apartheid simile a quello sudafricano». Dougard non andava bene, ha voluto un altro inviato.

E’ arrivato Richard Falk, un celebre giurista americano, per di più (dato il cognome) probabilmente ebreo. Ebbene: ancor prima di essere nominato, Falk ha paragonato il trattamento inflitto ai palestinesi all’olocausto inflitto agli ebrei negli anni ‘40.

Si è arrivati al punto che l’Innocente ha dovuto negare il visto d’entrata nel Paese - lo «Stato ebreo-democratico liberale» - al Falk. Niente più inviati ONU, sono tutti pieni di pregiudizi, doppiopesisti e antisemiti. E anche negazionisti.

Un sito fa notare che anche la recente messa al bando delle cluster bombs (bombe a frammentazione) è un chiaro sintomo di antisemitismo mascherato da umanitarismo. Infatti, è Israele che usa di più queste bombe; dunque, il bando colpisce in modo sproporzionato gli ebrei.

Solo nell’attacco al Libano del 2006 (pardon, nella «difesa»), l’Innocente ha gettato sul Libano tante di queste cluster bombs, da totalizzare 4 milioni di «bomblets», ossia di ordigni piccoli e graziosi che paiono giocattoli, e sono pronti a scoppiare quando un bambino li prende in mano o un pastore ci inciampa sopra. Di questi 4 milioni, infatti, almeno un milione giacciono inesplosi tra campi e rocce libanesi, in attesa della loro occasione per affermare il diritto d’Israele all’esistenza, così continuamente negato. E dalla fine della guerra in Libano, hanno già ammazzato o mutilato e sfigurato 200 libanesi. «Higly useful battle devices», ossia «strumenti utilissimi sul campo di battaglia», dicono gli israeliani e gli americani che - a ragione - non hanno aderito alla messa al bando.

Chissà perchè tutti ce l’hanno con Israele. L’ambasciatore Ron Prosor dice bene: bisogna che «tutti quelli che credono nei valori britannici» di libertà e pluralismo «facciano tacere la frangia estremista che domina il dibattito su Israele». Questo è il pluralismo approvato: far tacere. E invece, raccontare di più le sofferenze del povero, inerme Innocente. Dov’è finito Magdi Allam?

Maurizio Blondet
www.effedieffe.com

venerdì 30 maggio 2008

Ottusità di massa


Piangono i TG: secondo l’ISTAT, la famiglia italiana mediana «deve campare con 1.900 euro» al mese. Vien da dire: ancora così tanto?

Siamo il popolo meno scolarizzato d’Europa, i nostri lavoratori per lo più hanno la licenza media; il numero dei laureati diminuisce rispetto alla popolazione (e che laureati sono, poi); le nostre burocrazie pubbliche sono le più costose e le meno efficienti; i nostri giovani sono di un’ignoranza abissale eppure rifiutano anche i posti di commesso, perchè bisogna lavorare il sabato; la popolazione attiva è nettamente inferiore a quella dei Paesi civili. Insomma, siamo già Terzo Mondo, e ancora, bene o male, strappiamo stipendi da primo mondo. Quanto può durare?

In Italia si fa ancora ciao ciao con la manina. Voglio dire: basta che una telecamera compaia a piazza Montecitorio, e dietro il giornalista si forma subito una folla che resta lì impalata, si sposta per far vedere la sua faccia a mamma e ai parenti a casa, impacciata e confusamente sorridente, o con il cipiglio, come i nostri bisnonni contadini di cent’anni fa davanti alla macchina dei dagherrotipi. E fa ciao con la manina.

E’ una cosa che non si fa più nemmeno in Africa: rivela menti provinciali, primitive, con ritardi abissali.

Non dico in Europa. Chiunque abbia viaggiato in Francia, Germania o Gran Bretagna ha la sensazione che tutto, lo Stato, i servizi pubblici, i notiziari TV, la piccola gente comune, il panettiere e il barbiere, siano di qualche gradino (o tanti) superiore alla nostra: più responsabile e più istruita, più ben educata, più civile e servizievole.

Persino in USA, dove ci sono ignoranze immense, anche l’ignorante operaio edile è straordinariamente competente nel suo mestiere e sa parlarne con competenza; la barista part-time, che ha i suoi problemi, si accorge subito se sei in attesa e perspicace e intelligente - e inoltre sorridente, nonostante i suoi problemi personali - ti chiede in cosa possa servire.
No, non può durare. E infatti non dura. Ancora l’ISTAT informa: in soli sei anni, il nostro reddito è calato del 13% rispetto all’Europa. Ancora nel 2000 guadagnavamo il 4% in più, oggi il 9% in meno.

Ciò è inevitabile e perfettamente giusto: nel mondo, di ignoranti come noi ce ne sono un paio di miliardi, e sono disposti a lavorare per 100 euro. Senza fare gli schifiltosi. E non parliamo dei colti: ho appena conosciuto una badante bulgara che ha la laurea in psicologia. Lavora nel Viterbese senza lamentarsi, se non della ottusità dei suoi padroni (ricchi ristoratori) che non hanno un solo libro in casa e trattano lei come una selvaggia, con una maleducazione insultante.

Intravedo il titolo de La Stampa: «Italiani sempre più poveri» - perchè più ignoranti, doveva aggiungere. Certo, cominciamo a vedere l’effetto Prodi-Visco, l’ipertassazione e il peso accresciuto delle caste rapaci. Ma bisogna cominciare a guardare in faccia la realtà, sgradevole e disonorevole: è la nostra ottusità che ci sta facendo arretrare. Una ottusità specificamente italiana, che è diventata la nostra immedicabile attitudine nazionale. E che è incurabile perchè, solo qui, si rivendica il diritto all’ignoranza e all’ottusità.

Stiamo arretrando, sprecando risorse materiali e umane, perchè ogni gruppo o cosca o casta si aggrappa ottusamente a privilegi anche minimi, in secessione mentale dal resto della comunità, anche a prezzo, alla lunga, di perdere tutto. Il personale Alitalia è un chiaro esempio di questo particolarismo stupido fino al suicidio; aggrappato ai suoi privilegi insostenibili rispetto alla concorrenza, fino all’ultimo incapace di fornire un servizio o anche solo un sorriso, incompetente fino al ridicolo - e presto, finalmente, senza stipendio (la cordata, cari fancazzisti, non si forma).

Ma gli esempi sono infiniti, anche ai livelli presuntivamente alti: la cosca universitaria che ha strappato l’autonomia solo per truccare i concorsi, assegnare cattedre a parenti in micragnosi do-ut-des, e intanto abbandona la didattica e la ricerca a docenti a contratto che paga 3 mila euro l’anno - non è molto diversa, come ottusità autolesionista, dalle tifoserie che mettono a ferro e fuoco strade e piazze, picchiano e ammazzano gratuitamente.

I barricadieri di Napoli che gettano nella spazzatura la loro città, la sua fama e il suo turismo, sono un esempio di idiozia senza uguali nel pianeta, che fa vergogna alla presunta vispa intelligenza napoletana.

Sono stupidi gli aggressori gratuiti di extracomunitari; scambiano un romeno con un rom. Di una stupidità specifica, solo italiana per restrizione mentale e sovrappiù d’ignoranza, per primitivismo e arretratezza.

Ottuso, in questo modo specificamente italiano, è Berlusconi che per furbescamente salvare Rete4 regala una vittoria all’opposizione dopo solo 15 giorni di governo, rivelando lo sfaldamento iniziale della sua maggioranza, e peggio. Proprio mentre il suo chiaro dovere di governo sarebbe chiamare tutti a superare i loro particolarismi per il bene comune, egli si ritaglia un vantaggio particolare. I suoi ministri serii (Tremonti, Brunetta) hanno bisogno di eliminare sprechi e inefficienze della amministrazione pubblica, perchè i fondi aggiuntivi possono venire solo dalla sua razionalizzazione; devono perciò colpire interessi consolidati e privilegi indebili, in nome di un principio morale; e lui, il capo del governo, prova a mantenersi un privilegio indebito pro domo sua. Si può essere più ottusi? Ebbene sì, si può.

La magistratura napoletana, come sapete, ha messo agli arresti il personale del nuovo commissario alla monnezza Bertolaso; che esista uno stato d’eccezione evidente, che richiede misure d’eccezione, a quei magistrati non importa nulla. Loro non fanno parte dell’Italia ingolfata di rifiuti, ma di una Svezia ideale, da raccolta differenziata e linda: incriminano dirigenti che - data l’emergenza - aprono le ecoballe e le mandano in discarica senza tante storie. Omissione d’atti d’ufficio, falso in atto pubblico eccetera: ogni dirigente che voglia far qualcosa in Italia si macchia di almeno questi due «reati», il rispetto assoluto delle procedure burocratiche essendo fatto apposta per giustificare il far nulla.

«Applichiamo solo la legge», dicono i giudici; ovviamente non è vero, per 15 anni non hanno applicato alcuna legge, quando governava la sinistra. Lo fanno adesso perchè governa Berlusconi, perchè Bertolaso è efficiente, e - soprattutto - perchè per l’emergenza il governo ha provato a creare una superprocura ad hoc, sottraendo ai giudici ordinari (e inadempienti) la «competenza»: la casta s’è sentita scavalcata, ed ha reagito. Usando la «legge» esattamente come la camorra usa l’intimidazione e gli incendi dei cassonetti.

Ancora una volta: è la difesa di proprie prerogative e privilegi spinta fino alla rovina, all’autolesionismo - perchè dopotutto, nella rumenta fino al collo ci stanno anche loro, devono lavorare in ufficetti luridi dove manca la carta e la fotocopiatrice è guasta. Non si può chiamare che ottusità. Ciò che la rende specificamente italiana, è che questa ottusità non si vergogna di rivelare la propria mancanza d’intelletto e la propria meschinità morale, la propria piccolezza di vedute, la propria imprevidenza: anzi la ostenta. Solo da noi la casta giudiziaria può, a norma di legge, dare un contributo decisivo all’inciviltà generale.

C’è un rimedio? Certo che c’è. Essere ottusi fino alla propria rovina non è un destino: è la scelta deliberata della via facile, l’adesione ai propri interessi più prossimi e immediati a scapito di quelli generali. La cura sarebbe il contrario: stare in guardia, ciascuno, contro i propri istinti incivili, cogliere ogni occasione per imparare da chi ne sa di più anzichè deriderlo, recuperare la dignità del ragionare di larghe vedute contro la «furbizia» di cui ci vantiamo. Dobbiamo imparare le virtù che ci mancano. E qui sorgono le difficoltà.

Da una parte, ci manca la pressione obbligante di una classe dirigente «esigente», cioè moralmente qualificata ad esigere dalla gente di migliorarsi. Dall’altra, c’è la corale chiusura mentale di massa, la presunzione accecata di saperne già anche troppo, di fare anche troppo. Lo vedo anche nelle mail che ricevo. Non in tutte per fortuna, ma in troppe.

Questo sito, che già in qualche modo seleziona, è letto da troppe persone di cui salta agli occhi la mancanza di cultura generale, di attitudine ad interrogarsi, a imparare, ad avere flessibilità e apertura mentale. Troppa gente è ormai incapace di eseguire quel vecchio e facile gioco della Settimana Enigmistica: unire i puntini numerati per far risaltare una figura complessa. Riporto qui una mail come esempio di ciò che intendo. Le minuscole e la punteggiatura sono quelle originali:

«mi scusi ma lo sa che sono almeno 6 anni (diconsi sei anni) che lei e i personaggi che prende a riferimento giornalisti del W.p. e h.t., dite che gli usa atteccheranno l’iran, beh prima o poi succederà se non altro per farvi contenti. va bene fare controinformazione, però usare sempre toni catastrofistici alla lunga si perde di credibilità non trova? sempre complotti sempre sotterfugi, sempre manovre oscure, si parla crolli di borsa, crolli dei mercati, fallimenti bancari, iper inflazione, mah sinceramente sente queste cose da decenni, ma poi siamo sempre qui a raccontarcele, per lei che è fervente cattolico è un po come la fine dei tempi, prima o poi arriverè».

Il peggio qui non è l’imprecisione, il pressapochismo della scrittura, la vacuità mentale. Il peggio vero, rovinoso per chi scrive, è questo: che costui crede che in questi sei anni non sia successo niente di ciò che abbiamo previsto con molto anticipo, perchè «siamo sempre qui a raccontarcele». Che il petrolio sia passato da 27 a 140 dollari il barile, il che cambia per sempre il nostro sistema di vita; che ci siano in corso due guerre con truppe nostre; che effettivamente i mercati siano crollati e grandi banche davvero siano fallite; ed effettivamente sia già in atto l’inflazione (i prezzi di alimentari e gasolio dovrebbero dirgli qualcosa) - e che tutte le crisi stiano convergendo in una colossale crisi sistemica, a lui non consta. E chi lo segnala, esercitando una capacità di previsione che a lui manca per ignoranza, fa solo «catastrofismo», anche se magari è uno dei tanti che hanno visto calare il loro potere d’acquisto di 13 punti rispetto alla media europea.

Non è capace, per mancanza di fantasia, nemmeno di imparare sulla propria carne: giorno per giorno si adatta - ci adattiamo - a una vita sempre più misera, ogni giorno meno ambiziosa e con meno possibilità. Questo lettore non sa connettere i puntini, e questo non sarebbe il peggio - possiamo farlo per lui, aiutarlo. Ma il peggio è la sua aria di sufficienza, il suo non riconoscere a nessun altro alcuna superiorità su di lui.

E questo a rendere incurabile l’ignoranza, e quella specifica ottusità italiana: l’indocilità, ossia il rifiuto di imparare - di migliorare - proclamato come diritto.

Maurizio Blondet
www.effedieffe.com

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La verità è quella che vi dicono. E poi il problema in Italia non è mai stato tanto di saperla, ma che saputala tutto resta uguale. Credete forse oggi voi di essere liberi? Votate per dieci volte l'anno gente che a volte neanche conoscete e che una volta eletta fa ciò che vuole, acciuccia e si spartisce.
Sempre comanderà un'oligarchia che vi inganna col gioco delle parti.

E allora? Dov'è povero postero il guadagno?
La dittatura è un sistema per opprimere il popolo.
La democrazia è un sistema per costringere il popolo a opprimersi da solo.

Ma ricordate: un popolo che perde la sua memoria...
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